giovedì 28 gennaio 2016

That Dragon, Cancer: Un prodotto "di cattivo gusto"


Ho da poco completato la mia esperienza con That Dragon, Cancer (titolo da me bramato spasmodicamente ed inserito nella mia Top dei più attesi del 2016), e mentre scrivo quella che sarà la recensione vera e propria per I Love Videogames, ho deciso di buttare giù queste due righe, più personali e meno inquadrate su questo fantastico progetto.




Come al solito, voglio mettere subito le mani avanti e spiegare il perché di quel titolo. Perché quest'opera sarebbe di "cattivo gusto"? Perché in realtà non lo è, ma negli scorsi giorni mi è venuto il sangue amaro a causa di alcuni commenti di utenti di una nota testata di settore nostrana che definivano questo "gioco", come un "prodotto di cattivo gusto", parlando di come "i videogiochi siano fatti per divertire e non per raccontare storie di bambini malati di cancro".

In sostanza quel tipo di affermazioni contro cui mi batto da anni, quelle affermazioni che
impediscono ad un media giovane di evolversi a pieno e variegarsi in maniera totale sia in ambito indipendente ma, sopratutto tripla A, quelle affermazioni fatte dalle stesse persone che si lamentano di un presunto mercato commerciale "stantio".
Insomma l'ipocrisia nella sua essenza internettiana.

Se dovessimo guardare alla totalità del "prodotto", That Dragon, Cancer, non si potrebbe definire di certo perfetto, specie a causa di alcuni problemi tecnici, ma non è questa la sede per farlo (c'è la recensione per quello), perché qui voglio solo parlarvi di ciò che questo titolo mi ha trasmesso, di come abbia dovuto staccare forzatamente la spina per qualche ora per non cadere in un circolo di emozioni che probabilmente non mi avrebbero fatto dormire, e sopratutto, di come il primo titolo della mia lista per quest'anno sia stato in grado di rispettare e surclassare tutte le mie aspettative.

Conoscendo le vicende alle spalle dello sviluppo di quest'opera, danno ancora più fastidio le frasi di
cui sopra, ci troviamo di fronte a qualcosa di estremamente personale, di intimo, con gli autori che mettono a nudo se stessi per raccontare la loro vicenda, di come sia stato difficile dire addio al piccolo Joel, di come sia stato doloroso vederlo soffrire e spegnersi lentamente senza che loro potessero più fare qualcosa. Un impotenza che viene trasmessa anche al giocatore, figura eterea, una specie di angelo che veglia sul piccolo, una speranza per i suoi cari insomma. Una speranza che però mi ha fatto sentire inutile, mero osservatore incapace di poter far qualcosa di concreto se non accompagnare, essere presenti, e spesso questo è molto più importante.

Ovviamente alcuni potrebbero vedere tutto ciò, specie nelle parti finali dove la religione fa sempre più capolino, come un'esaltazione delle fede cristiana, di come Dio sia l'unica fonte di salvezza, ma non è così. Come già detto, quella che ci viene offerta è una testimonianza, un percorso rivissuto da un'ottica allo stesso tempo oggettiva e soggettiva e nel percorso della famiglia Green la fede è stata cruciale. A torto o a ragione non è importante, questa è la loro storia, e questo il loro ultimo saluto al piccolo Joel, e vanno rispettati per questo.

Oltre alla possibilità di vivere la loro storia, mi è stata data anche l'occasione di perdermi in un fantastico mondo onirico realizzato splendidamente.

Per cui, se per voi un lavoro del genere, fatto con quella passione con cui spesso molti si riempono la
bocca, è motivo di sdegno, perché vi sentite offesi, perché per voi un media che permette di indagare nell'intimo dell'animo umano in una maniera unica non dovrebbe evolversi, restando soltanto sul puro intrattenimento, allora fatevi un favore, cambiate Hobby. O almeno, tacete.


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