lunedì 30 marzo 2020

Moons of Madness - Recensione (PS4)


Giocando a Moons of Madness mi sono ritrovato in un limbo. Ero combatutto tra il fascino che nutro per tutte le opere che mescolano fantascienza e Lovecraft, ed il fatto di essere un irrecuperabile cagasotto.
Scopriamo com'è andata a finire. Buona lettura.


Il titolo di Rock Pocket Games (pronti ad alzare l'asticella delle loro ambizioni dopo alcuni progetti di rodaggio) parte da presupposti più che allettanti: inserire suggestioni ed elementi provenienti dalla mitologia lovecraftiana nel contesto dell'esplorazione marziana.
Marte è, infatti, un setting perfetto per dar vita ad una storia che poggia le sue fondamenta sul concetto di terrore per l'ignoto. Il pianeta rosso è da sempre un soggetto di rilievo per la fantascienza, così prossimo a noi ma allo stesso tempo così misterioso ed, ancora, irraggiungibile.


Entrando nel vivo della narrazione fa piacere constatare che gran parte di tali premesse vengono poi sviluppate in un racconto intrigante e che riesce, in gran parte dei casi, ha tener vivo l'interesse dello spettatore, anche di chi tende ad avere il battito accelerato non appena si spegne una luce. Il fascino del setting e di numerosi misteri che il deserto marziano cela sotto la sua superficie spingono ad andare avanti, a scoprire cosa ci sia dietro a quella che, apparentemente, è soltanto una missione di colonizzazione da parte di una multinazionale non governativa chiamata come un serpente gigante, demoniaco e ad otto teste (Orochi).
Non è infatti un caso che abbia scritto "in gran parte dei casi", perché purtroppo, in alcuni frangenti, la narrazione perde un po' di smalto, con alcune trovate di scrittura un po' telefonate (ma pur sempre godibili) ed alcuni nodi della trama non del tutto chiari, nonostante una narrazione ambientale ben gestita e numerosi documenti e file da leggere. Si potrebbe obiettare che in un racconto in cui vengono coinvolti universi paralleli e sanità mentale possa comunque essere lasciato spazio alla libera interpretazione, ma resta comunque un peccato vedere come alcune sottotrame, tra l'altro piuttosto interessanti, vengano un po' abbandonate in un secondo momento in favore del filone centrale che vede direttamente coinvolto il nostro protagonista, Shane.
Ovviamente, ad abbondare sono i numerosi riferimenti a grandi capolavori del videogame, del cinema (con ovvi rimandi ad opere come Alien ed Event Horizon, giusto per citarne un paio) fino ad arrivare ai dovuti omaggi alle opere del maestro Lovecraft.


Pad alla mano, il titolo non fa mistero della sua natura di avventura horror in prima persona di stampo classico, fatta di lunghe esplorazioni, raccolta di indizi, basilari fasi stealth, sequenze scriptate ed enigmi ben congeniati e non troppo complessi, così da non spezzare in maniera brutale e troppo artificiosa lo scorrere dell'avventura.
Pur nel suo essere un progetto che ludicamente rientra totalmente nei canoni di genere, tutto questo non risulta pesare sulla godibilità dell'esperienza in quanto il sentore di "già visto" viene serenamente soppiantato dalle necessità narrative al servizio delle quali si pone il gameplay, offrendo una serie di soluzioni ludiche sempre diverse con il progredire del racconto (rari sono i casi in cui dovremo compiere azioni simili se non identiche in aere diverse del gioco).
Una nota di merito va, anche in questo caso, posta all'attenzione per i piccoli dettagli legate alle varie interazioni ambientali - con un unico vero basso rintracciabile nella tuta spaziale che appare e scompare ogni volta che si indossa il casco passando tra un'atmosfera e l'altra (pratico a livello ludico, ma completamente innaturale).


Non ho dubbi però a ritenere la direzione artistica come la vera punta di diamante della produzione, ideale punto d'incontro di un design futuribile e funzionale per quanto riguarda le strutture della Orochi ed elementi organici, putrescenti e tentacolari delle più svariate forme. A scorci del pianeta rosso, si alternano interni hi-tech contaminati da un male sconosciuto e strisciante, infettivo e vorace, in un'amalgama dall'indubbio fascino che sfocia nell'onirico e nel cosmico.
Certo, si potrebbe sottolineare che non tutti gli elementi dello scenario hanno ricevuto la stessa cura, con texture in bassa risoluzione in alcune circostanze ed alcuni modelli, sopratutto quelli naturali come formazioni rocciose, non sempre rifiniti ed armonici, ma in un quadro d'insieme così ammaliante tali spigolosità passano in secondo piano.


Nota di merito va riservata anche al comparto sonoro ed al doppiaggio. 
Il sound design del titolo svolge egregiamente il proprio lavoro, calandoci in un'atmosfera di costante mistero, fatta di silenzi, folate di vento, crepitii, passi indistinti nell'oscurità e sussurri in lingue antiche.
Le musiche sono realizzate con piena consapevolezza di tale struttura sonora ed accompagnano le vicende efficacemente, senza mai brillare ma esaltando particolari passaggi del plot.
Il doppiaggio in lingua inglese (sono attivabili i sottotitoli in italiano attraverso le impostazioni) svolge bene il suo lavoro, con Shane e Dean ad occupare gran parte della scena, probabilmente senza restare impressi nella memoria del giocatore (a causa sopratutto di alcuni momenti non sottolineati a dovere dal doppiatore del protagonista) ma, come per le musiche, capace di creare un'amalgama funzionale alla narrazione e all'atmosfera.


In conclusione, Moons of Madness è un prodotto solido, dal setting affascinante ed una trama, seppur canonica sotto molti aspetti, ben sviluppata e d'indubbio fascino, affiancata da una direzione artistica in grado di coniugare al meglio una realtà futuribile con gli orrori cosmici di H.P. Lovecraft e sorretta da un gameplay funzionale e variegato, nonostante la sua semplicità.
Certo, non ci troviamo di fronte all'opera magna del fanta-horror (Soma, per fare un esempio, è di un altra categoria), ma di sicuro si difende più che bene e riesce a catturare l'attenzione del giocatore dall'inizio alla fine.


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