giovedì 20 luglio 2017

Black the Fall: La prima recensione del Blog


Eccoci qua. Dopo un lungo periodo di assenza dovuto alla mia tesi di laurea, finalmente posso mettere di nuovo mano al blog. E voglio farlo nel modo giusto, presentandovi la prima recensione "ufficiale" che potrete leggere in queste "pagine virtuali"incentrata su di un titolo che è stato in grado di colpirmi per diversi aspetti,vale a dire Black the Fall, sviluppato dal piccolo team indipendente Sand Sailor Studio.

Mi auguro di non aver perso la mano con questo tipo di testi, vista sopratutto la pausa di diversi mesi, tentando, al contempo, di distaccarmi da quella che è la struttura standard di una recensione videoludica e ricercando qualcosa di più personale e che possa suscitare in voi lettori un certo interesse.

Ma mi sto dilungando troppo, non resta che augurarvi buona lettura.

Sin da subito è chiara quale sia stata la fondamentale fonte d'ispirazione da cui questo gruppo di ragazzi rumeni ha attinto gli elementi che fungono da colonna portante della produzione. Sto ovviamente parlando di Playdead, il talentuoso team di sviluppo che ha dato i natali ad opere del calibro di Limbo e del recente Inside (finito nella mia wishlist dello scorso anno prima e nella mia pila degli arretrati in seconda battuta). Scelta sicuramente azzeccata dato che la descrizione circolata più spesso nei social per descrivere Black the Fall è di certo "Limbo sotto una dittatura comunista"; ecco qualitativamente lontani siamo abbastanza lontani da quei picchi di eccellenza espressiva a cui ci ha abituato la software house danese ma ciò non toglie che il titolo uscito da quel calderone d'idee qual è il neonato progetto Square Enix Interactive ha diverse frecce nella propria faretra. Ma procediamo con ordine.



A colpire sin da subito sono sicuramente l'estetica e la direzione artistica del gioco capaci di farci
immergere, già a partire dal menù di gioco, nel clima oppressivo, soffocante, di un'ucronica Romania oppressa dal giogo sovietico (il titolo è infatti una rilettura di quella che era la realtà del paese, e più in generali di tutti quegli stati che aderirono al patto di Varsavia, nel corso degli anni caratterizzati dalla Guerra Fredda). Il simbolismo la fa da padrone esaltato da precise scelte cromatiche che vanno ad accentuare gli aspetti che gli sviluppatori hanno voluto maggiormente mettere in risalto: una forte
presenza di nero negli ambienti chiusi - che occupano circa più di un terzo del gioco tra fabbriche, prigioni e altre strutture di varia natura - in cui spiccano sprazzi di colori acidi, artificiali che non fanno altro che accentuare quel senso di inadeguatezza del protagonista e, conseguentemente del giocatore, che è spinto così a voler cercare una via di fuga, una fonte d'aria, un raggio di sole, ci si sente quasi mancare il fiato. Eppure anche una volta trovata l'uscita ciò che ci si dipana d'innanzi non è un paesaggio poi meno desolante. L'oscurità della catena di montaggio, dell'industria come unico fine dell'uomo comune (che
comunque è una presenza costante anche all'aria aperta) lascia spazio a nuove tonalità, a scale di grigi e marroni, ai fumi e alla polvere e ad una luce sì naturale ma corrotta e filtrata per poi ripiombare nella quasi totale oscurità notturna nelle battute finali. In quest'ultimo caso però c'è una nuova luce a rischiarare le tenebre, non più le lampade alogene ma il fuoco simbolo di coraggio, di rivoluzione, di voglia di rivalsa di un popolo per lungo tempo oppresso.

Sì, credo che ormai abbiate capito che di certo uno dei punti di forza del gioco è quello di saper reinterpretare esteticamente un certo periodo storico, in alcuni momenti raggiungendo vette qualitative ed espressive non da poco: come accade, ad esempio, in occasione della fuga dalla prigione o ammirando le rovine di un parco giochi abbandonato. Sono momenti ben riusciti che riescono davvero a creare una sorta di legame tra gli eventi reali, la ricostruzione ucronica ed il sentire del giocatore a cui manca, purtroppo, quella continuità che caratterizza i prodotti a cui si ispira ma che riescono comunque a lasciare un'impronta, un sedimento, nella memoria una volta conclusa l'esperienza. Anzi, spesso ho trovato superflui, se non deleteri per il ritmo dell'opera, diversi enigmi ambientali che, ad essere onesti, non si sono mai rivelati complessi (e non ne vedo il problema, anzi) ma, per assurdo, frustranti, proprio perché andavano a minare - magari per un errore di calcolo di un salto, o per un problema di tempismo o semplicemente abbastanza in contrasto con il momento - l'atmosfera che gli ambienti stavano cercando di creare.

Altre cose che ho apprezzato sono di certo il comparto sonoro ed il ritmo della produzione. La
colonna sonora è composta quasi esclusivamente da suoni e rumori provenienti dal mondo di gioco: sferragliamenti di macchine ed ingranaggi, lamenti dei lavoratori, le urla delle guardie, i silenzi delle pianure piene di strutture in rovina, saranno ciò che ci accompagnerà per la stra grande maggioranza dell'esperienza con piccole sortite musicali atte a spezzare un certo clima o a contrastare, spesso con non troppa velata e pungente ironia, una data situazione.

Il ritmo è, in qualche misura, la summa di quanto espresso sino ad ora, lento, riflessivo, finalizzato alla contemplazione di paesaggi (e uomini) in rovina. È vero, il titolo dà la possibilità di correre e muoversi rapidamente di puzzle in puzzle ma questa è stata un'opzione che ho da subito scartata (limitandomi a farne uso soltanto in caso di estrema necessità, come in occasione di alcuni enigmi in cui ho trovato la morte) sentendo che quello che il mio avatar stava vivendo era una fuga, faticosa, lenta, aveva sulle spalle il destino, le speranze e, più in generale, il sentire di un intero popolo ormai stanco di un giogo così pressante ed insalubre (per non dire letale).

Come detto, ovviamente questo titolo ha i suoi numerosi limiti, è indubbio , ma resta comunque una produzione di qualità e sentendomi di consigliarla ho preferito focalizzarmi su quelli che sono gli elementi che mi hanno maggiormente colpito piuttosto che tentare di una sorta di ricerca di oggettività d'analisi e di tecnicismi che avrebbero forse sviato da quel profondo senso di "convivialità" - come se un vostro amico vi stesse consigliando, o sconsigliando, un videogioco con cui passare qualche ora - che cerco di trasmettere con questo (e spero con futuri) scritti.

Insomma, Black the Fall, al netto dei suoi difetti, è un'esperienza che consiglio perché ben realizza e capace comunque di lasciare qualcosa nonostante non raggiunga i picchi qualitativi (o per lo meno non riesca a dargli continuità) che hanno reso grandi i giochi da cui tra chiaramente ispirazione.


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