Finalmente posso parlarvi di FAR: Lone Sails. Come per Where the Water tastes like Wine e Forgotten Anne, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un titolo da me a lungo atteso e protagonista della mia lista Most Wanted di quest'anno.
Spoiler: è valsa la pena attendere.
Ho deciso di fare tale premessa poiché ritengo superfluo (e, ripensandoci, avrei dovuto adottare un comportamento simile anche con Where the Water tastes like Wine, mea culpa) parlarvi del gioco da un punto di vista prettamente critico, finendo per sminuirne la portata e concentrandomi, invece sulle sensazioni e le emozioni provate nel corso dell'esperienza.
La nave diviene un personaggio autonomo, al quale mi sono sentito profondamente legato, per il quale ho sofferto ad ogni ammaccatura, malfunzionamento e per la quale ho gioito ogni qual volta avessi trovato un nuovo componente lungo la strada, quasi come se stessi facendo un regalo ad un amico.
Mi son trascinato dietro, per tutto il viaggio, una cassetta delle lettere. Lo so sembra stupido, ma, sin dal primo momento, ho come sentito il bisogno di portare con me un pezzettino della dimora del mio personaggio, come se stessi lasciando la mia casa consapevole di non potervi più fare ritorno inseguendo qualcosa di molto più grande. Apparentemente una sciocchezza, eppure a quanto pare non era così per i ragazzi di Okomotive. Arrivato alla fine del gioco, infatti, in basso a destra spuntano due achivement: uno per aver completato il gioco, ed un secondo denominato come "a piece of Home" e indovinate un po'? Richiedeva, e lo dico a rischio di mandare in malora tutto questo effetto (ma non riesco a tenermelo per me), proprio di portare la cassetta del posta con noi fino al termine del viaggio. Un gesto institntivo il mio, ma non inaspettato per chi sà come creare un legame con il fruitore della propria opera. Il team era infatti consapevole di avere in mano qualcosa dall'enorme potenziale, con cui il giocatore potesse entrare da subito in sintonia, instintivamente grazie ad un grande lavoro di scrittura e costruzione.
Ovviamente tra tutto questo ben di Dio ci sarebbe anche un piccolo dettagliuccio a cui ancora non ho fatto cenno: la direzione artistica del gioco. FAR, nella sua semplicità, mi ha costantemente sorpreso, pur nei limiti tecnici che di certo non negherò ma che non hanno in alcun modo pesato sulla fruizione di un prodotto che utilizzando una palette cromatica ridotta da vita ad un quadro evocativo, magico e, allo stesso tempo, funzionale a livello ludico. Da una parte saremo infatti attratti dall'incredibile mondo di gioco e dalla sua bellezza malata e decadente, fatta di scale di grigi intervallate da qualche nota più vivace, e dall'altra avremo sempre chiari tutti i punti d'interazione e gli strumenti che ci verranno messi a disposizione (che nella gran parte dei casi coinvolgeranno la nostra nave, unica vera amica).
Per questo articolo, più che di una recensione, si può parlare di flusso di coscienza. Di una serie di sensazioni che un pessimo relatore e scrittore come il sottoscritto cerca di far arrivare ad un potenziale lettore, incuriosendolo e motivandolo ad avvicinarsi ad un'esperienza unica come FAR: Lone Sails, in grado di restare impressa nella memoria di chiunque si disposto a comprenderla ed empatizzare con essa. Dico questo perché mi è impossibile fare altro. Se mi attenessi ai classici canoni di recensine finirei, come purtroppo accaduto nel recente passato, per svilire un'opera di questo tempo che invece va, semplicemente, oltre grazie ad un archetipo, probabilmente l'archetipo per eccellenza, abusato quanto efficace: quello del viaggio (non a caso Journey è stata una presenza costante nella mia mente lungo tutta l'avventura).
Ma mi sto dilungando troppo, non c'è modo migliore per comprendere queste mie poche e strampalate righe, se non provare voi stessa il titolo.
Buona navigazione.
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