sabato 27 ottobre 2018

SINNER: Sacrifice for redemption - Recensione


Avete presente quelle volte in cui ci si rende conto di aver fatto il passo più lungo della gamba? Ecco, mi è appena successo con SINNER: Sacrifice for Redemption
Il progetto di Darkstar fu uno di quelli che, grazie alle premesse messe in campo dal team di sviluppo, attirò la mia attenzione lo scorso anno e di conseguenza riuscì a conquistarsi un posto nella mia most wanted list. Avevo però sottovalutato un piccolo particolare, è dichiaratemente ispirato, sotto diversi aspetti, ad opere come Demon e Dark Souls. Il problema? Io non sono per nulla portato per certe esperienze.
Iniziamo.


Come detto, io non sono un grande fan di quelli che ormai vengono definiti "souls-like" e, più in generale, di quei prodotti in cui la difficoltà e il grando di sfida vengono spinte al limite portando in molti casi a frustrazione e all'impossibilità di godere di suddetti titoli nella loro totalità (sto ancora male nel pensare di non riuscire a godermi un capolavoro come Cuphead a causa del livello di sfida) ma questo è un mio problema, totalmente soggettivo e di certo tutt'altro che universale.
Quello che apprezzo, però, è la volontà di cercare di plasmare qualcosa di ormai rodato e di pubblico dominio, come il combat system delle opere sfornate da quasi un decennio da From Software, e farlo proprio, creando qualcosa di nuovo ma familiare allo stesso tempo.
Proprio quello che i ragazzi di Darkstar hanno cercato di fare con la propria creatura.

Hanno, infatti, preso l'ossatura del gameplay (e le atmosfere dark-fantasy) dei Souls e le hanno mescolate, passatemi il paragone, con una struttura inversa a quella di Mega-Man.


Vestiremo i panni di Adam, un guerriero vagabondo chiamato ad espiare i propri peccati affrontando fisicamente quelle che sono le incarnazioni di questi ultimi. Non è un caso che il team di sviluppo citi Shadow of the Colossus dato che, a conti fatti, la struttura sarà all'incirca la stessa: un hub centrale dal quale partire per sconfiggere uno dei sette boss presenti senza dover falcidiare orde di nemici lungo la strada. Certo nel capolavoro di Fumito Ueda la progressione era ben scandita e non veniva lasciata la scelta al giocatore sull'ordine con cui affrontare i colossi, ma l'idea di fondo è la stessa.
Ed è proprio qui che entra in gioco quel confronto con Mega-Man di poco fa.
Nelle sue avventure, l'iconico robot blu deve vedersela con una serie di androidi che una volta sconfitti, nell'ordine scelto dal giocatore, forniscono nuovi poter utili per avanzare nell'avventura.

Bene, in SINNER accade l'esatto opposto. Ogni volta che sceglieremo di affrontare un boss dovremo effettuare un sacrificio, vale a dire ricevere un malus permanente (spesso avendo ripercussioni anche sulla resa estetica di Adam), rendendoci più deboli ad ogni scontro con un nuovo peccato.
Si passa da una riduzione di vita e stamina, ad un numero minore di oggetti nell'inventario fino a cose più fastidiose come alcuni secondi in cui saremo incapaci di effettuare qualsiasi azione una volta esaurita l'energia, lasciandoci in totale balia del nemico.


Ovviamente, una struttura di questo tipo è volta integralmente a far, mano a mano ma brutalmente, emergere le abilità del giocatore, la sua capacità di reazione e di lettura istantanea della situazione.
Per di più, cosa positiva per chi fosse alla ricerca forsennata della sfida, i sette peccati mescoleranno spesso e volentieri (almeno in buona parte dei combattimenti) i propri pattern, in modo da non rendere troppo intuibile lo scontro. Diventerà quindi fondamentale imparere come reagire al singolo colpo o alla singola serie di attacchi, piuttosto che concentrarsi sul flow generale.
La conseguenza per chi, come me, ha poca pazienza è il dover passare un sacco di tempo a morire per poter ottenere un quadro generale ben chiaro della situazione.
Ah, e se proprio doveste essere in vena di procurarvi del vero dolore fisico, una volta finita la storia potrete sempre gettarvi nella modalità sfida definita "Incubo". 
Sarò onesto, l'ho provata per cinque minuti, è apparso un secondo boss mentre stavo affrontando il primo e me ne sono uscito con un "nope!" e ho chiuso il gioco.


Quindi, giocatore al centro dell'esperienza, perfetto. Peccato soltanto che non sempre tutto funzioni al meglio con hit box non sempre perfette e timing delle parate e dei contrattacchi spesso fallaci.
In altri casi avrei chiuso un occhio, ma in una produzione che fa di elementi come questi dei cardini imprescindibili, il discorso si fa problematico, anche perché i boss picchiano come fabbri.
Mi è capitato spesso, infatti, di morire a causa di colpi palesemente a vuoto o di contrattacchi misteriosamente mancati.
Certo potrei anche citare una sconfitta gratuita subita a causa di una compenetrazione poligonale con il piede di uno degli avversari ormai prossimo alla morte ma, trattandosi di un caso isolato, voglio chiudere un occhio.


Nonostante questi problemi, c'è da sottolineare come, addirittura più che in un Souls, qui diventi preponderante l'idea della boss fight e del suo superamento come premio stesso e fine ultimo dell'esperienza.
In fondo, nel corso della nostra avventura non riceveremo nulla (tranne un piccolo regalo una volta completata la campagna) ed anzi, perderemo mano a mano tutto ciò che, di norma, verrebbe offerto all'utente come premio per l'impresa compiuta.
Ma nonostante la soddisfazione di essere stati i completi artefici della propria vittoria, all'esperienza sembra sempre mancare qualcosa, qualcosa, ad essere sincero, di non totalmente chiaro o esprimibile ma che ancora la produzione, che le impedisce di spiccare totalmente il volo. 
Eppure, ad aiutare, ci sarebbe anche un comparto artistico di tutto rispetto, con modelli e location che, per quanto semplici, risultano affascinanti. Grazie anche ad un atmosfera d'impatto potenziato da un uso sapiente delle luci a cui fa, però da contraltare, una gestione della profondità di campo non entusiasmante.


Detto questo, però, a discapito di tutto lo stress provato, delle imperfezioni, dei limiti, dell'ulteriore stress, dell'odio verso il mondo alla trentesima morte di fila in quindici minuti, SINNER: Sacrifice for Redemption si è rivelata un'esperienza più che soddisfacente ed un ottimo biglietto da visita per i ragazzi di Darkstar che hanno dimostrato di avere le carte in regola per poter lasciare il loro segno nell'industria, una volta liberatisi di quella sudditanza psicologica nei confronti dei loro "mentori" creativi (non è un caso che ogni morte sia accompagnata da un suono praticamente identico al corrispettivo di Dark Souls), che hanno impedito alla loro produzione di esplodere a piena potenza.


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