Prima di iniziare con questa recensione, ci tengo a ringraziare di cuore la mia ragazza. È solo grazie a lei se son riuscito a poter vivere l'esperienza di The Hateful Eight nella maniera voluta da Quentin Tarantino. La Cineteca di Bologna è infatti una delle due uniche sale ad aver potuto proiettare in anteprima la versione Director's Cut in 70mm dell'ottavo film dell'eccentrico regista. Quindi le devo davvero tanto per avermi dato la possibilità di poter sfruttare al volo quest'occasione.
Non entrerò ulteriormente nei dettagli, preferendo passare alla recensione vera e propria.
The Hateful Eight è un film che va visto categoricamente all'interno di una sala cinematografica. Sia chiaro, non vi sto dicendo che sia fondamentale il formato 70mm. È vero è quello scelto dal regista, quello con cui consiglia la visione, ma dato che per coloro che stanno leggendo questo articolo e non avranno avuto modo di vederlo il 29 Gennaio in una delle 2 sale italiane appositamente attrezzate sarà praticamente inaccessibile, non lo ritengo come un elemento imprescindibile, specie se non siete dei cultisti della settima arte (sopratutto pensando al fatto che quelli che vengono esaltati sono gli esterni, in larga minoranza nell'economia del film). Quello per cui è fondamentale la visione in sala sono i trucchetti utilizzati da Tarantino per giocare con la tensione, con addirittura l'intervallo studiato per essere una parte integrante dell'esperienza, con il suo minutaggio adeguato alla narrazione. Insomma una serie di trucchetti che purtroppo non saranno usufruibili da tutti, specie in alcuni multisala.
Altro problema della versione che sarà disponibile a partire dalla prossima settimana è certamente la questione "tagli". Quella da me visionata è la versione Director's Cut, con tanto di "Overture" e scene che al contrario non saranno presenti nell'altra. Quindi non stupitevi se alcune cose che dirò potrebbero non corrispondere alla vostra futura esperienza.
Hateful Eight rispetta tutti i pronostici, un western alla Tarantino, claustrofobico e teso, che con
soltanto due set interni ed uno esterno regge serenamente le 3 ore della narrazione. Questo grazie ad una regia dinamica e capace di adattarsi ai mutamenti di registro narrativo con estrema naturalezza, grazie ad una colonna sonora efficace e curata alla perfezione dall'intramontabile Ennio Morricone, in grado di sottolineare sia i momenti bi distesi che quelli più tesi e ricchi di patos, sino ad arrivare al cast, dove spiccano Samuel L. Jakcson, Kurt Russel, Jennifer Jason Leigh e Walton Goggins. Ma non solo.
Questa pellicola è infatti una specie di reunion per buona parte dei pupilli del regista. Troviamo infatti Tim Roth e, sopratutto, Michael Madsen. Fa anche piacere vedere come Channing Tatum nel corso degli anni si stia imponendo sempre più che figura di punta di Hollywood dopo un inizio da star per ragazzine che non lasciava presagire che un futuro da meteora usa e getta.
Altro elemento fondamentale nell'economia della trama e nel suo evolversi è sicuramente il cambio di
registro narrativo che muta con il passare dei minuti in maniera graduale sfruttando anche l'inserimento di elementi come un narratore esterno e flashback nella seconda metà (ritorna così prepotentemente l'importanza dell'intervallo che, oltre a dividere in due tronconi ben distinti la storia favorisce, con una tempistica perfetta, la gestione del pathos nello spettatore).
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